La si conosce come il principale elemento naturale, quello che ci accompagna nella vita e che determina la sopravvivenza del genere umano. Se ne lamenta lo spreco, eppure ci sembra così tanta, nel suo fluido scorrere.
Ne apprezziamo la trasparenza, ma quasi non la vediamo.
Eppure, l’acqua è l’elemento naturale che può permettersi di raccontare le montagne, avendole plasmate nei millenni di antiche ere, quando ancora le Dolomiti non erano che isolotti immersi proprio nell’acqua di un immenso mare.
La montagna è anche acqua, non nella sua composizione, ma nella rappresentazione immaginaria che ognuno ha dentro di sé…. il rivolo appena accennato che interrompe il sentiero spingendoci al salto o la forza di una cascata, tanto più impetuosa quanto più l’inverno ha regalato la neve. La neve, appunto, cristalli di acqua soffici in inverno e tenaci d’estate, consolidati in ghiacciai sempre più perituri.
E poi i laghi, più spesso laghetti, specchi per le vette e per una vegetazione ostinata.
Ovunque, in montagna, l’acqua regna sovrana, non fosse che per quelle piogge repentine che ci sorprendono durante le gite e che alimentano con costanza i bacini a valle. Regalando immagini di incredibile forza o di placida quiete, a seconda di quanto l’acqua si scontri con la roccia. E allora dalle verticali nascono cascate impetuose, che si contrappongono al gorgoglio della pendenza discreta del sentiero, fino al crespio delle piccole onde mosse dal vento dei tranquilli laghetti verde-azzurro attorniati dalle montagne.
Come non scordare la cascata di Fanes o quella della Tofana di Rozes, che annuncia la primavera con la sua comparsa per poi repentinamente ricadere nell’oblio visivo, o ancora quella di Ra Stua, protagonista oggi della nostra copertina. O il lago del Sorapiss, piuttosto che i laghi Ghedina o d’Ajal o, ancora, quello glaciale che domina l’Armentarola: solo alcuni dei tanti occhi d’acqua che guardano Cortina con indulgenza.
Di recente, poi, un lago poco lontano da Cortina, quello di Mosigo a San Vito, è assurto a star nazionale grazie alla serie tv “Un passo dal cielo”, che ha raccontato l’Ampezzo e il Cadore con gli squarci fotografici che solo una scenografia naturale alpina può regalare.
Ma cosa ci affascina tanto nel contrasto tra il rigore, l’imponenza e la staticità della roccia e l’impalpabile, fluida trasparenza dell’acqua, se non quell’analogia con la struttura interiore dell’essere umano, diviso, spesso in equilibrio instabile, tra rigidità e leggerezza, immobilità e dinamicità, frenate interiori e spinte verso l’infinito?
Da qui, sebbene riferite al suo tanto amato mar Mediterraneo, le parole di un poeta sommo del ‘900 italiano, Eugenio Montale, che ben rappresentano questa attinenza tra uomo e acqua:
…esser vasto e diverso e insieme fisso: e svuotarmi così d’ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde... le inutili macerie del tuo abisso.Eugenio Montale