Ce ne sono per tutti i gusti.
Con forme maestose o falsamente rassicuranti, affrontabili con passeggiate di modica difficoltà o con verticali degne dei più arditi scalatori, impresse in migliaia di cartoline o semplicemente ammirate dal vivo, da lontano.
Sono tutte, sempre e comunque, emozione pura.
Le rocce ampezzane raccontano una storia che non è solo un excursus temporale nelle ere geologiche più lontane, è anche e soprattutto un viaggio personale, che parte dagli occhi e arriva al centro vitale di ciascuno di noi.
Nessuno escluso.
Impossibile restare freddi davanti a quel caleidoscopio di colori che ci colpisce nel profondo, guida le nostre emozioni e racconta di qualcosa che spesso dimentichiamo. Ci parla della nostra natura, del nostro appartenere al mondo e non viceversa, ci suggerisce la nostra piccolezza e fragilità.
“Al cospetto delle montagne” è una frase ricorrente, che non rende ancora perfettamente il senso di stupore e magnificenza che si prova davanti allo spettacolo delle Dolomiti.
Che non a caso, oggi, sono “marchiate” dell’imprimatur UNESCO, che le ha riconosciute uniche al mondo.
E non a caso, ieri, l’uomo ha cercato di giustificare lo sgomento emotivo davanti alla loro possenza e di razionalizzare lo spettacolo dell’enrosadira o dello specchiarsi dei monti nei laghetti alpini attraverso leggende che le rendevano umane, personificandole.
Basti pensare ai racconti sul Sorapis, sul lago di Misurina, sull’Enrosadira.
Un tentativo, forse, di innalzare l’uomo a livello delle montagne o, viceversa, di abbassare quelle rocce imperiture verso l’umana mortalità. Sempre, e comunque, un atto di sottomissione dell’uomo al suo ambiente, un voler raccontare l’irraccontabile, raggiungere l’irraggiungibile.
Oggi, quelle rocce, quei laghetti scavati dall’acqua, quella vegetazione scarna e resistente restano gli unici testimoni dello scorrere degli uomini e del solcare dei passi nei secoli, nell’illusoria convinzione di poter addomesticare la montagna.
Ma quel grigio-rosa ci ha già vinti.